I veterani del wine blogging lo sanno: ci sono alcuni argomenti che sembrano fatti apposta per attizzare discussioni, scatenare polemiche, rinverdire vecchi topics. Sono un trucco ormai datato come la Tv in bianco e nero, ma funzionano ancora, e quando uno vuole ravvivare l'attenzione e il traffico sul suo blog, puntualmente li tira fuori. Vini naturali vs convenzionali, cork vs screw cup, sono ancora utili le guide dei vini? quale linguaggio per il mondo del vino? Eccetera.
Approfondiamo...
Il ritorno di un classico: il cemento
Qualcuno un giorno ha detto della moda che è "il disprezzo per il passato prossimo e l'amore per il passato remoto".
Probabilmente qualcosa del genere si potrebbe dire anche della tecnologia in cantina. Fino a qualche anno fa infatti la barrique francese era considerata l'ultimo grido dell'innovazione, un must, il non plus ultra; oggi il suo uso è molto meno esaltato (ed esaltante), almeno in certe zone, mentre si torna a guardare con curiosità e interesse a materiali che, fino a ieri, erano considerati con sufficienza un retaggio dei preistorici tempi del vino anonimo e di quantità.
Uno di questi materiali è il cemento.
"Quei che fa l'uva..."
"...e quei che fa el vin son do rasse diverse". Traduzione: quelli che coltivano uva e quelli che la vinificano sono due razze diverse.
Gli amici enologi direttori di cantine cooperative me lo dicono da sempre: fare uva è una cosa, fare vino un'altra. Pensare che tutti i coltivatori d'uva abbiano sempre a cuore il lavoro di chi poi dovrà vinificarla, preoccupandosi di consegnare il miglior prodotto possibile (compatibilmente con l'annata) è un'ingenua illusione.
Ecco spiegato perchè ancora tanti, troppi soci di cooperative in tutta Italia trattano la cantina stessa come se fosse un cliente e non come la propria realtà produttiva, avendo ancora in testa solo il grado zuccherino delle loro uve e il minimo accettabile di sanità delle medesime. Perchè, dal momento in cui il carro viene consegnato, pesato, l'uva osservata, variamente sondata e finalmente rovesciata nei pigiadiraspatori, sono convinti che non sia più affar loro.
Ecco spiegato perchè ancora tanti, troppi soci di cantine sociali in tutta Italia trattano la propria cantina come se fosse un cliente e non come la propria realtà produttiva, avendo ancora in testa solo il grado zuccherino delle loro uve e il minimo accettabile di sanità delle medesime. Perchè, dal momento in cui il carro viene consegnato, pesato, l'uva osservata, variamente sondata e finalmente rovesciata nei pigiadiraspatori, sono convinti che non sia più affar loro.
Nuovi vitigni, nuovi vini
Buone notizie per i vivaisti, i ricercatori viticoli, i produttori di vino e in generale per tutti i fan dei vitigni resistenti (alle malattie): sulla Gazzetta Ufficiale di qualche giorno fa è stato pubblicato il DM 10 luglio 2013, "Modifiche al registro nazionale delle varietà di vite".
Nel documento si legge che l'elenco nazionale dei vitigni ammessi alla produzione di vino viene arricchito di nuove varietà - oltre che di nuovi cloni - alle quali si stava lavorando da tempo.
Tra queste figurano uve come i bianchi Solaris e Johanniter, e i rossi Bronner, Prior, Cabernet Carbon, Cabernet Cortis, Helios, eccetera. L'elenco completo si trova qui.
...e venne il giorno del tappo a vite...
...anche per il Valpolicella Classico, il Valpolicella Superiore e il Valpolicella Valpantena.
Sì, non di sola pianura, fondovalle, e terreni più o meno freschi (in cui è lecito o meno piantar vigne) si è parlato all'assemblea dei soci del Consorzio della Valpolicella tenutasi giorni fa.
Ma anche di altre, e direi più sostanziali, modifiche alle regole di produzione.
Una di queste, come anticipiamo nel titolo, è proprio la possibilità di usare il tappo a vite anche per i tre vini suddetti. Una scelta (finalmente) saggia, opportuna e condivisibile, e non solo perchè il tappo a vite è richiesto da tempo dai mercati nei quali quei vini finiscono (ricordiamo che, ad oggi, la maggior parte della produzione della Valpolicella prende la via dell'estero), ma anche per un intento didattico; il tappo a vite è infatti una chiusura assolutamente consigliabile anche per vini che aspirano ad una certa longevità, come potrebbe (dovrebbe) essere il Valpolicella Superiore. L'esperienza austriaca (che ha adottato il tappo a vite da una ventina d'anni) insegna. E chi pensa che aprire una bottiglia così sia meno elegante e/o rituale, si ricreda.
La Valpolicella e la dealcolazione
Riceviamo e pubblichiamo:
Alla fine di agosto, presso la valpolicellese Villa Lebrecht a S. Floriano di San Pietro in Cariano, sede del corso di Laurea in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche, sono stati presentati i risultati dei progetti Low Alcol e Winesens e sono state illustrate le nuove proposte progettuali per il periodo 2012-2014. Low Alcol e Winesens sono 2 progetti facenti parte di un’iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007 – 2013, all’interno della Misura 124 ("cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nel settore agricolo, alimentare e forestale"). L’attività di ricerca e sperimentazione di entrambi i progetti ha visto impegnato un team di soggetti coordinati dal Prof. Roberto Ferrarini.
Il Trentino e il sogno negato
Non c'è vignaiolo (autentico) che non abbia un sogno. Fa parte della sua visione, della mission della sua azienda, grande o piccola che sia.
Anche ai vignaioli trentini piace sognare; ma da qualche tempo sembrano non esserne più capaci.
Prendi il sogno della qualità dei vini, per esempio. Oggi sembra essere più lontano e inafferrabile che mai, come se una sorta di maligno incantesimo impedisca di realizzarlo. O peggio, di diffonderlo: perchè in questa regione la qualità si presenta a macchia di leopardo, e a conti fatti è ancora troppo poca per promuovere nell'immaginario collettivo nazionale e internazionale l'idea di una zona che si batte alla pari con il vicino Alto Adige (con il quale, a torto o a ragione, viene continuamente messa a confronto...)
Il vino naturale non esiste
Ci hanno messo 21 anni, e alla fine imprecando, sbuffando, litigando e sgambettandosi a vicenda, i paesi dell'UE sono giunti a licenziare un regolamento di produzione del vino biologico che, sinceramente, lascia un po' perplessi (per usare un eufemismo).
Ma è pur sempre un inizio. Un punto fermo laddove prima c'era il vuoto (legislativo) pneumatico.
Il vino biologico esiste (e quello naturale no).
Di vino bio, mercato e produzione si è parlato nei giorni scorsi a S.Floriano (Verona), come anticipato qui. Un convegno (organizzato dall'Associazione Veneto Produttori Biologici e Biodinamici) nel quale si è esposto in maniera chiara cosa significa, alla luce delle nuove normative, fare vino biologico.
Il Recioto di Soave e la domanda sbagliata
Una degustazione di vini dolci è una delle esperienze sensoriali più ardue che possano capitare anche ad un professionista. Se poi i vini dolci sono 43, all'esterno il sole dardeggia a 35 (gradi Celsius) e tu hai poco più di un paio d'ore per farti un'idea dello stato dell'arte della produzione e per dare, se possibile, alcune indicazioni di massima ai produttori su come procedere nei prossimi anni , il compito si presenta leggermente in salita.
Sfida interessante, comunque, tenutasi nelle migliori condizioni ambientali possibili (grazie a Lorenzo Simeoni e alla sempre sollecita collaborazione del Consorzio del Soave). E mentre i campioni - tutti alla cieca - sfilavano nei bicchieri di noi 12 degustatori a gruppi di cinque, un po' alla volta si faceva strada una curiosa sensazione...
Tre passi per sopravvivere alla crisi
Quante facce ha la crisi?
Non c'è solo quella, nerissima, di chi ha perso il lavoro e non riesce a ricollocarsi; di chi lo cerca e non lo trova - e di chi ha perfino smesso di cercarlo. C'è anche la faccia grigiastra di chi sta vivendo un momento positivo e non può investire, scontrandosi con le altrui difficoltà finanziarie e la crisi di liquidità delle banche.
E' il caso della Valpolicella del vino (perchè quella del marmo è in sofferenza da anni), le cui imprese performano meglio delle colleghe veronesi (pur essendo, di conseguenza, anche mediamente più indebitate); nel complesso, comunque, il distretto del vino veronese vale oltre 10 milioni (fatturato medio del 2010). E se il PIL regionale appare stabile nel 2011, per il 2012 le proiezioni danno segno negativo anche in Veneto (-1,6%).